La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32823/2018, ha affermato taluni rilevanti principi in merito al trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di donazione, da riservare ai trasferimenti oggetto del patto di famiglia.
Tale istituto – disciplinato dagli articoli 768-bis e ss. cod. civ. – è il contratto con cui l’imprenditore (ovvero il titolare di partecipazioni societarie) trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda (o le proprie partecipazioni sociali) a uno o più discendenti. Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se, in quel momento, si aprisse la successione del patrimonio dell’imprenditore. I discendenti assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali debbono liquidare gli altri partecipanti al contratto (cd. “legittimari non assegnatari”) con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle rispettive quote di legittima.
La summenzionata pronuncia della Suprema Corte assume particolare interesse, in quanto si occupa del regime di tassazione, ai fini dell’imposta di donazione, da applicare, non solo al trasferimento dell’azienda o della partecipazione dal disponente al discendente assegnatario, bensì anche alla liquidazione della somma “compensativa” della quota di legittima da parte dell’assegnatario dell’azienda o della partecipazione sociale ai legittimari non assegnatari.
In particolare, la controversa questione riguardava la tassazione da applicare alle somme “compensative” corrisposte – in adempimento del patto di famiglia – dal figlio (discendente assegnatario) alla sorella (legittimaria non assegnataria) “a tacitazione e liquidazione pro quota delle azioni” a lui trasferite dalla madre disponente.
L’articolo 2, comma 48, D.L. 262/2006 stabilisce che i trasferimenti di beni e diritti – per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione – sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni:
con l’aliquota del 4% se devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro;con l’aliquota del 6% se devoluti a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro;con l’aliquota del 6% se devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado;con l’aliquota dell’8% se devoluti a favore di altri soggetti.
Nel caso concreto, la liquidazione “compensativa” in denaro effettuata dal figlio assegnatario alla sorella era stata assoggettata a tassazione, ai fini dell’imposta di donazione, applicando l’aliquota del 4% per la parte eccedente la franchigia di 1.000.000 di euro, come se la liquidazione fosse stata eseguita dalla madre (e non già dal fratello), a titolo di liberalità indiretta a favore della figlia non assegnataria delle azioni.
La Commissione Tributaria Regionale di Milano, giudicante in secondo grado, riteneva corretto il trattamento fiscale adottato dai contribuenti, rilevando che “l’atto di liquidazione in denaro delle azioni dall’assegnatario alla legittimaria fosse avvinto da causa unitaria con la donazione avente ad oggetto il trasferimento di tali azioni, integrando in sostanza anch’esso una donazione (seppure indiretta perchè eseguita tramite il figlio assegnatario) dalla madre disponente alla figlia”.
L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non condivideva la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Milano e impugnava la sentenza di secondo grado contestando che il patto di famiglia non potesse essere considerato “un atto unitario di donazione”, essendo invece composto da due atti autonomi e distinti (tanto da poter essere perfezionati anche non contestualmente), così individuabili:
il trasferimento iniziale delle quote societarie a favore del discendente assegnatario;il successivo atto di liquidazione in denaro effettuato dal discendente assegnatario in favore della sorella, legittimaria non assegnataria, da assoggettare – diversamente da quanto stabilito dal Collegio giudicante di secondo grado – all’imposta di donazione con aliquota del 6% (per la parte eccedente la franchigia di 100.000 euro), trattandosi, nella specie, di un trasferimento intervenuto tra fratelli.
Nell’ambito di tale controversia tributaria, la Corte di Cassazione, con la succitata ordinanza, ha quindi stabilito il seguente principio: “il patto di famiglia di cui agli articoli 768 bis cod. civ. e ss. è assoggettato all’imposta sulle donazioni per quanto concerne sia il trasferimento dell’azienda o della partecipazione dal disponente al discendente (fatto salvo il ricorso delle condizioni di esenzione di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, articolo 3, comma 4 ter), sia la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari; quest’ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario”.
La Suprema Corte – dopo aver stabilito che “il prelievo tributario doveva essere determinato in ragione del rapporto intercorrente tra l’assegnatario ed il legittimario non assegnatario” e considerato che, nel caso concreto, la liquidazione delle somme “compensative” era stata effettuata tra fratelli – accoglieva quindi il ricorso per Cassazione proposto dall’Ufficio impositore ritenendo, pertanto, applicabile l’imposta di donazione con l’aliquota del 6% e la franchigia di 100.000 euro.
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