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Paolo Mancuso

La Cassazione “demolisce” il fondo patrimoniale: ammissibile l’ipoteca esattoriale

Partendo dalla recente sentenza n. 20998/2018 della Corte di Cassazione, il presente elaborato si pone l’obiettivo di ricostruire la disciplina dell’esecuzione dei beni conferiti in un fondo patrimoniale, analizzando, in particolare, i rapporti sussistenti fra l’articolo 170, cod. civ. e le norme sulla riscossione coattiva dei tributi, in termini sia di onere probatorio degli elementi oggettivi e soggettivi richiamati dalla prefata norma, sia di ammissibilità dell’iscrizione di ipoteca esattoriale sui beni in esso conferiti, attesa l’accertata natura di atto preliminare all’esecuzione forzata.

Premessa

Una delle questioni più controverse e dibattute nell’alveo dei rapporti fra la disciplina civilistica e quella tributaria concerne le misure esecutive promosse dall’agente della riscossione sui beni conferiti in un fondo patrimoniale, come tali protetti dallo scudo costruito dall’articolo 170, cod. civ..

Il fondo patrimoniale, nato dalle ceneri della dote e del patrimonio familiare, istituti espunti dal nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia del 1975, risponde alla pressante esigenza di garantire la stabilità e la tranquillità economico-finanziaria della famiglia, la quale ha la possibilità di ergere un muro a difesa dei beni necessari a rispondere ai propri bisogni. In sostanza, è possibile ricondurre questa particolare forma di segregazione patrimoniale al dettato degli articoli 29 e 30, Costituzione, ovvero i pilastri fondanti della disciplina sociale ed economica della famiglia.

Se questo è vero, è altrettanto vero che esiste un’esigenza ugualmente o forse anche più importante - almeno per lo Stato - rispetto a quella testé accennata, che si configura nell’interesse generale dello stesso all’acquisizione delle risorse finanziarie necessarie a soddisfare la spesa pubblica, in ossequio al dovere generale di contribuzione ex articolo 53, Costituzione. Un’esplicazione evidente di quanto descritto si rinviene nella diversa posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria, la quale gode di un netto vantaggio rispetto ai creditori ordinari del contribuente, stante l’esistenza di numerosi poteri esercitabili per addivenire a una certa e celere riscossione coattiva delle somme relative alla pretesa tributaria da questa avanzata.

Nell’economia del presente contributo, uno degli esempi di maggiore interesse è sine dubio rappresentato dall’iscrizione di ipoteca esattoriale, disciplinata dall’articolo 77, D.P.R. 602/1973.

È evidente, infatti, il potenziale conflitto che potrebbe sorgere fra l’interesse dell’agente della riscossione, desideroso di incamerare le somme iscritte a ruolo, utilizzando tutti i mezzi predisposti dall’ordinamento giuridico, e quello dei componenti del nucleo familiare, i quali potrebbero aver deciso di conferire in un fondo patrimoniale i beni necessari al sostentamento e al mantenimento del tenore di vita condotto.

Prendendo spunto dal ragionamento giuridico seguito dai giudici della Corte di Cassazione, con sentenza n. 20998/2018, l’intento dello scrivente è quello di ricostruire la disciplina dell’esecuzione dei beni conferiti in un fondo patrimoniale, analizzando, in particolare, i rapporti sussistenti fra l’articolo 170, cod. civ. e le norme sulla riscossione coattiva dei tributi.

Prima di procedere alla disamina dei profili di criticità appena accennati, è d’uopo esporre e chiarire l’istituto del fondo patrimoniale, in modo da eliminare ogni dubbio circa il concreto atteggiarsi della separazione patrimoniale derogatoria del regime della garanzia generica ex articolo 2740, cod. civ..

La predetta esigenza di garantire la stabilità patrimoniale della famiglia ha persuaso il Legislatore a introdurre uno strumento di salvaguardia dei beni necessari allo svolgimento dei bisogni familiari: ai sensi dell’articolo 167, cod. civ., infatti, uno o entrambi i coniugi, con atto pubblico, oppure un terzo, anche mediante testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni a far fronte alle necessità precedentemente individuate.

Gli effetti principali conseguenti alla creazione del fondo patrimoniale sono l’esclusione dalla possibilità sia di alienare e di ipotecare ciò che è stato in esso conferito, sia di non espropriare i relativi beni e frutti per quel che concerne i debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Dunque, è possibile affermare che questo istituto giuridico rappresenta: un patrimonio separato, in quanto i beni in esso ricompresi sfuggono alla regola generale della responsabilità patrimoniale, secondo la quale il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri; un patrimonio destinato, poiché ciò che è stato in esso conferito e i susseguenti frutti possono essere utilizzati solo ed esclusivamente per le esigenze familiari; un regime patrimoniale della famiglia a carattere convenzionale, non alternativo alla comunione legale o alla separazione.

In altri termini, il fondo patrimoniale costituisce una “membrana selettivamente permeabile” alle diverse categorie di credito vantato dal soggetto creditore. L’articolo 170, cod. civ., infatti, non blocca tutte le procedure di esecuzione forzata sui beni del fondo, ma stabilisce una distinzione fra i crediti riguardanti specificamente le necessità della famiglia, quelli non riguardanti tali bisogni ma caratterizzati dalla inconsapevolezza del creditore circa la predetta estraneità e, infine, quelli che sotto il profilo oggettivo e soggettivo sono completamente avulsi dalle esigenze della famiglia, ammettendo l’espropriazione solo e soltanto per le prime 2 categorie.

Il fatto

Come precedentemente anticipato, la sentenza in commento rappresenta un’ottima occasione per analizzare la vexata quaestio circa la possibilità di espropriare i beni conferiti in un fondo patrimoniale per l’attuazione di crediti di natura tributaria.

La controversia sottoposta all’esame dei giudici di legittimità prende le mosse dall’esito negativo di un’impugnazione proposta avverso la pronuncia di primo grado, con cui l’adito Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni prodotti dall’iscrizione di ipoteche esattoriali a carico di diversi beni immobili conferiti, qualche anno prima, in un fondo patrimoniale.

Secondo quanto asserito dal contribuente, le iscrizioni ipotecarie derivanti dal mancato pagamento delle somme dovute all’agente della riscossione, documentate in alcune cartelle di pagamento attinenti a sanzioni amministrative per violazione al codice della strada e all’omesso versamento di tributi, dovevano essere ricondotte alla categoria dei debiti estranei ai bisogni della famiglia.

Altrimenti detto, la richiesta di risarcimento si basava sulla presunta illegittimità delle predette ipoteche, poiché asseritamente contrarie a quanto previsto dall’articolo 170, cod. civ. circa la non espropriabilità dei beni costituiti in un fondo patrimoniale per le obbligazioni caratterizzate dalla estraneità alle esigenze familiari e dalla conoscenza, da parte del creditore, di questa caratteristica.

Le questioni giuridiche

Il ricorso per cassazione promosso dal contribuente si basava, principalmente, su 2 doglianze: in primo luogo, egli lamentava la violazione e falsa applicazione degli articoli 167, 170 e 2697, cod. civ., poiché i giudici di seconde cure avevano ritenuto su di esso gravante l’onore di provare l’estraneità delle obbligazioni ai bisogni della famiglia, senza peraltro considerare che il creditore era a conoscenza di questa circostanza, stante la natura sanzionatoria e non riparatoria dell’esecuzione forzata; in secondo luogo, egli eccepiva la manifesta illogicità della motivazione della pronuncia impugnata nella parte in cui i giudici avevano affermato che egli non aveva patito alcun danno risarcibile.

Prima di procedere alla illustrazione e spiegazione della soluzione offerta dalla Suprema Corte, non si può non notare l’esistenza di alcuni profili di criticità nella disciplina del fondo patrimoniale e in quella dell’ipoteca esattoriale, le quali emergono con preponderanza nella disamina della fattispecie sottoposta al vaglio della Cassazione.

L’articolo 170, cod. civ., come già detto, vieta l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale nell’ipotesi in cui i crediti per i quali si procede siano stati contratti, con consapevolezza del creditore, per bisogni estranei a quelli della famiglia.

Concettualmente, la linea di demarcazione fra le varie tipologie di necessità sembra chiara e ben definita, ma nella pratica questa distinzione appare vacua e di difficile interpretazione. L’arduo compito di eliminare le incertezze che sorgono in merito a questa definizione, a dir poco indefinita e “nebbiosa”, spetta ai giudici e agli studiosi della materia, i quali sono chiamati a cercare di dare concretezza a questa vaga nozione richiamata dal dato normativo.

Proprio nel mezzo di tale vexata quaestio si inserisce il giudizio in esame, caratterizzato dalla necessità di comprendere se i debiti di natura fiscale possano o meno essere ricompresi nel novero di quelli contratti per far fronte ai bisogni della famiglia.

Una volta risolta questa impasse occorre passare allo step successivo, domandandosi se l’ipoteca esattoriale ex articolo 77, D.P.R. 602/1973 possa qualificarsi come una misura cautelare o esecutiva. La risposta a tale quesito è fondamentale per definire i rapporti fra la stessa ipoteca e la non espropriabilità ai sensi dell’articolo 170, cod. civ., norma che esclude solamente l’espropriazione dei beni conferiti.

Le condizioni per poter aggredire i beni conferiti

L’ordinamento giuridico, nella spasmodica ricerca di un equilibrio fra le opposte e divergenti esigenze dei creditori, interessati a ottenere in modo rapido e sicuro quanto da essi vantato, e della famiglia, orientata a perseguire una certa stabilità patrimoniale, necessaria per garantire la possibilità di reperire le risorse finanziarie indispensabili al mantenimento del proprio tenore di vita, ha previsto l’istituto del fondo patrimoniale, ovvero la possibilità di costituire un patrimonio separato da quello concesso in garanzia generica ex articolo 2740, cod. civ. perché destinato a uno scopo determinato.

Se è vero che i beni conferiti in un fondo patrimoniale risultano protetti dalle azioni esecutive promosse dai creditori dei loro proprietari, l’altra faccia della medaglia è che esistono delle condizioni a dir poco draconiane perché tale schermo possa effettivamente funzionare. Il debitore che intenda contestare il diritto del creditore ad agire in executivis o a iscrivere ipoteca nei confronti dei predetti beni, infatti, deve inderogabilmente dimostrare la regolare costituzione del fondo, la sua opponibilità al creditore procedente e che il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Mentre le prime 2 condizioni esulano dall’argomento oggi discusso, la terza appare meritevole di un approfondimento, nonostante la mancanza di una simile analisi nella sentenza in commento, orientata più che altro sulla risoluzione dell’annosa questione vertente sulla ripartizione dell’onere probatorio dell’avveramento dei requisiti prima esposti.

Dunque, l’articolo 170, cod. civ. fa dipendere la facoltà del creditore di aggredire i beni del fondo da 2 fattori: la causa obbligandi, cioè lo scopo del debito, inteso come elemento di carattere oggettivo, e la scientia creditoris, cioè l’elemento psicologico del creditore, avente natura soggettiva.

In primo luogo, è d’uopo definire correttamente gli incerti confini della definizione dei “bisogni familiari”, la quale appare fumosa e poco chiara.

Secondo la maggior parte della dottrina, la locuzione richiamata altro non è che una clausola di stile, generica e indeterminata, suscettibile di essere ampliata o ristretta in via ermeneutica. Dunque, per addivenire alla soluzione della problematica esposta, occorre inevitabilmente fare riferimento alle pronunce dei giudici di legittimità.

Sul punto, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che rientrano nell’alveo dei bisogni della famiglia, oltre alle necessità di carattere strettamente biologico, anche quelle di carattere sociale, volte al pieno mantenimento e allo sviluppo armonico della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa. Questo parametro è così ampio da spingere gli studiosi a definirlo come “negativo”1, in quanto capace di ricomprendere un’infinita varietà di ipotesi, con la sola esclusione delle esigenze meramente voluttuarie e speculative.

Se quanto detto ormai è pacificamente accettato e condiviso dall’unanimità della dottrina e della giurisprudenza, meno ovvia è la questione che concerne l’applicabilità di queste considerazioni alle obbligazioni non aventi una fonte contrattuale. Il dettato normativo dell’articolo 170, cod. civ., infatti, sembra riferirsi solamente ai debiti “contratti”, escludendo implicitamente quelli sorti ex lege o per responsabilità extracontrattuale.

L’interpretazione di questa locuzione appare dirimente in relazione alle obbligazioni tributarie, le quali non si generano in forza di un accordo ma in funzione di quanto stabilito dalla legge, al verificarsi del presupposto impositivo.

Secondo il prevalente orientamento della Suprema Corte, il criterio identificativo non consiste nella natura dell’obbligazione, ma nella relazione sussistente tra il suo fatto generatore e i bisogni della famiglia, in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto.

In astratto, quindi, il debito tributario potrebbe rientrare fra quelli contratti per soddisfare i bisogni familiari: questo particolare tipo di obbligazione, infatti, non può essere considerata sic et simpliciter di natura extra-familiare, essendo necessario procedere a un accertamento concreto, mutevole in base alle circostanze fattuali, circa il collegamento fra il presupposto impositivo e i bisogni della famiglia.

L’onere della prova degli elementi oggettivi e soggettivi

Appurato che un debito di natura tributaria possa far parte del novero di quelli contratti per far fronte ai bisogni della famiglia, non ostando a tale qualificazione la fonte legale e non contrattuale dell’obbligazione, occorre comprendere come si atteggia l’onere probatorio degli elementi oggettivi e soggettivi del fatto impeditivo dell’esecuzione descritto dall’articolo 170, cod. civ..

Secondo le regole generali del diritto, chi intende bloccare una pretesa adducendo l’esistenza di un fatto modificativo, estintivo o impeditivo deve necessariamente fornirne la prova, in ossequio a quanto disposto dall’articolo 2697, cod. civ..

Dunque, alla luce di quanto generalmente previsto dalla legge e in mancanza di una specifica disciplina derogatoria, il debitore che decide di opporsi all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615, c.p.c., contestando il diritto del creditore ad agire sui beni conferiti in un fondo patrimoniale, deve provare compiutamente la regolare costituzione dello stesso, l’estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari e la consapevolezza di quest’ultima caratteristica in capo al creditore.

Nonostante l’indubbia severità di un siffatto onere probatorio, la giurisprudenza è unanimemente concorde nel ritenere che sia il debitore a dover dimostrare la sussistenza delle citate condizioni2.

Soluzioni giuridiche

Dopo aver chiarito, in maniera dettagliata, le questioni giuridiche immanenti alla problematica in esame, appare possibile esaminare il decisum della pronuncia in commento, la quale non fa altro che seguire e dare ulteriore supporto all’orientamento oramai consolidato e granitico della giurisprudenza di legittimità in tema di ipoteca esattoriale sui beni conferiti in un fondo patrimoniale e sull’onere della prova circa le condizioni ex articolo 170, cod. civ..

Il primo profilo di problematicità affrontato e risolto dalla Corte di Cassazione riguarda il suddetto onere probatorio: i supremi giudici hanno precisato tout court che:

“il debitore deve necessariamente dimostrare non solo la regolare costituzione del fondo patrimoniale e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il debito nei confronti di tale soggetto sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari. L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’articolo 170, cod. civ., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicché, ove sia proposta opposizione, ex articolo 615, c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari”. Emerge ictu oculi come una simile ripartizione sia totalmente e spropositatamente svantaggiosa per il contribuente, il quale è dunque tenuto a fornire la c.d. probatio diabolica della conoscenza, da parte dell’ente impositore, dell’estraneità del debito, adempimento ai limiti dell’impossibilità.

Una parte della dottrina3 ha suggerito una diversa configurazione dell’onere probatorio, in applicazione dei principi di proporzionalità e vicinanza alla prova: se da un lato è giusto far gravare l’onere di dimostrare l’estraneità del debito in capo al contribuente/debitore, dall’altro sarebbe più rispondente alla funzione del fondo patrimoniale effettuare un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2697, cod. civ., imponendo all’Amministrazione finanziaria la prova circa la mancata conoscenza della prefata estraneità.

La seconda questione giuridica discussa dalla Cassazione concerne, invece, l’inclusione dell’ipoteca esattoriale nell’insieme delle misure esecutive applicabili sui beni del fondo patrimoniale. Anche se questa problematica è stata trattata solo marginalmente, stante la natura risarcitoria della domanda proposta dal ricorrente, la Suprema Corte ha comunque espresso il proprio convincimento sul tema, adeguandosi a quanto statuito e indicato nei propri precedenti giurisprudenziali.

Una prassi molto diffusa nell’agire dell’agente della riscossione consiste nel procedere a iscrivere un’ipoteca esattoriale ex articolo 77, D.P.R. 602/1973 sui beni conferiti nel fondo, asserendo che il divieto di esecuzione sui beni posti a salvaguardia dei bisogni della famiglia e sui relativi frutti non può estendersi anche alle azioni cautelari.

In sostanza, il problema viene aggirato attribuendo all’ipoteca in esame la natura di azione meramente cautelare, dunque non considerandola come un mezzo prodromico e strumentale all’esecuzione forzata.

Dev’essere effettuata una breve ma necessaria premessa circa i criteri che permettono di discernere l’ipoteca esattoriale sia da quella legale, prevista dall’articolo 2817, cod. civ., sia da quella giudiziale, disciplinata dall’articolo 2818, cod. civ..

Per quanto concerne la prima fattispecie, infatti, il Legislatore ha previsto, nelle ipotesi tassativamente prescritte dalla norma prima richiamata, l’automatica iscrizione su specifici beni immobili oggetto di negoziazione, in virtù dell’avvertita esigenza di garantire l’adempimento di obbligazioni derivanti da operazioni di trasferimento della proprietà, per effetto di atti di alienazione, ovvero di divisione4.

La differenza rispetto all’istituto dell’ipoteca esattoriale consiste nell’assenza di alcuna attività d’impulso da parte del creditore: ai sensi dell’articolo 2834, cod. civ., infatti, è il conservatore dei registri immobiliari a dover iscrivere, d’ufficio, l’ipoteca legale.

Per quanto riguarda la seconda, l’ipoteca giudiziale si distingue da quella esattoriale a causa della natura giuridica del provvedimento che ne giustifica l’iscrizione. Mentre l’articolo 2818, cod. civ. individua il titolo legittimante in una sentenza o in un altro provvedimento giurisdizionale, l’articolo 77, D.P.R. 602/1973 permette la richiesta d’iscrizione solamente sulla base di un provvedimento amministrativo, mettendo così in mostra lo squilibrio imperante fra la posizione creditoria dell’Amministrazione finanziaria e quella del contribuente, assoggettato ai numerosi poteri garantiti all’agente della riscossione nell’esercizio delle proprie funzioni.

Dopo aver constatato che l’istituito in parola non può essere accostato alle varie tipologia di ipoteca previste nel codice civile, è possibile procedere a verificarne l’ammissibilità ai sensi dell’articolo 170, cod. civ..

Alcuni interpreti hanno rilevato come la formulazione della norma, dato che si riferisce direttamente ed esclusivamente all’esecuzione, parrebbe non ricomprendere l’iscrizione ipotecaria, sicché ne deriva che la stessa non possa avvenire alle stesse condizioni previste dalla legge per procedere a espropriazione.

Questa ricostruzione dogmatica può essere superata effettuando un’interpretazione sistematica dell’articolo 77, D.P.R. 602/1973: esso, infatti, è inserito nella sezione IV di detto decreto, intitolato “Disposizioni particolari in materia di espropriazione immobiliare”. Tale collocazione normativa non può far protendere verso l’idea di una natura cautelare dell’ipoteca esattoriale, inserita dal Legislatore tra le disposizioni che regolamentano l’esecuzione e, in particolare, il procedimento per addivenire all’espropriazione forzata.

A ulteriore conferma di questa interpretazione, è possibile addurre altri 2 argomenti, i quali mettono certamente in risalto l’indissolubile legame esistente fra la riscossione coattiva dei tributi e l’iscrizione d’ipoteca esattoriale, intesa come una misura preliminare dell’esecuzione forzata.

In primo luogo, nel comma 2, articolo 77, D.P.R. 602/1973 si legge che:

“se l’importo complessivo del credito per cui si procede non supera il 5% del valore dell’immobile da sottoporre a espropriazione determinato a norma dell’articolo 79, il concessionario, prima di procedere all’esecuzione, deve iscrivere ipoteca. Decorsi 6 mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto, il concessionario procede all’espropriazione”.

Questa norma, dunque, stabilisce che l’ipoteca deve necessariamente portare all’esecuzione, sottolineando l’impossibilità di un’iscrizione fine a sé stessa e slegata dalla espropriazione, eccetto il caso di estinzione del debito entro il termine breve di 6 mesi.

In secondo luogo, nella lettera b), comma 1, articolo 76, D.P.R. 602/1973, il Legislatore afferma che l’agente della riscossione:

“può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui procede supera 120.000 euro. L’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l’ipoteca di cui all’articolo 77 e se sono decorsi almeno 6 mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto”

rendendo lapalissiana la sua volontà di subordinare la procedura esecutiva alla prodromica iscrizione ipotecaria.

Così come è manifesta la volontà legislativa di non dar corso all’iscrizione ipotecaria ogni qualvolta non sia possibile, sulla base del dato normativo, espropriare il bene immobile oggetto di ipoteca. Al riguardo rileva il comma 2, articolo 76, D.P.R. 602/1973, il quale dispone che il concessionario non procede all’espropriazione immobiliare se il valore del bene, determinato secondo l’articolo 79, D.P.R. 602/1973 e diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito, è inferiore all’importo di 120.000 euro.

Tirando le somme di quanto esposto, è di difficile comprensione l’orientamento che ricomprende l’istituto ex articolo 77, D.P.R. 602/1973 nel novero delle misure cautelari5, sia perché è del tutto evidente il suo inserimento in una fase pre-esecutiva6, sia perché non presenta alcuna connotazione sulla base della quale possa essere ricondotta nell’alveo di dette misure, come ad esempio il fumus boni iuris o il periculum in mora.

Detto diversamente, sebbene sia vero che l’ipoteca esattoriale non integri un atto esecutivo in senso stretto, è altrettanto vero che essa dev’essere considerata come un atto preliminare all’esecuzione forzata tributaria, avente l’effetto di creare un vincolo di indisponibilità del bene finalizzato alla conservazione della garanzia in vista di una futura espropriazione7.

Alla luce di tutto ciò, deve ritenersi legittima l'iscrizione di ipoteca esattoriale sui beni conferiti in fondo patrimoniale, sia quando il debito sia stato contratto per uno scopo legato ai bisogni della famiglia, sia quando, quantunque sia stato contratto per finalità extrafamiliari, il titolare del credito per cui l’agente della riscossione procede alla riscossione coattiva non conosceva tale estraneità. Al contrario, l’agente della riscossione non può procedere all’iscrizione di ipoteca esattoriale su detti beni e, qualora ciò accada, la stessa è illegittima, se il creditore aveva cognizione di tale estraneità.

Invero, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20998/2018, ha affermato expressis verbis, similarmente ai numerosi precedenti in materia8, che:

“in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’iscrizione ipotecaria di cui D.P.R. 602/1973, ex articolo 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’articolo 170, cod. civ., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia”.

Infine, per quanto concerne la domanda risarcitoria, la Suprema Corte ha rigettato il motivo di ricorso a essa relativo, adducendo che il contribuente era comunque tenuto a pagare le sanzioni a lui inflitte, atteso che, sulla base di quanto emergente dagli atti di causa, le cartelle di pagamento non erano state oggetto di opposizione, con la conseguenza che il credito doveva ritenersi definitivamente accertato e oggetto di legittima pretesa.

Conclusioni

Tutti i ragionamenti e le discussioni concernenti l'ammissibilità dell’iscrizione di ipoteca esattoriale sui beni conferiti in un fondo patrimoniale vengono cancellati e “bypassati” dalla soverchiante e piuttosto avvilente rigorosità della ripartizione dell’onere probatorio, il quale viene posto totalmente a carico del debitore. Quest'ultimo, per poter eccepire l’illegittimità di detta iscrizione, è infatti chiamato a provare sia l’elemento oggettivo della fattispecie, cioè l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia, sia l’elemento soggettivo sussistente in capo al creditore, cioè la sua consapevolezza circa detta estraneità.

D'altronde, nella richiamata pronuncia, i giudici di legittimità hanno affermato laconicamente che:

“una diversa soluzione legittimerebbe, in modo improprio, l’utilizzo del fondo patrimoniale (istituto che ha la finalità di apprestare misure di protezione per i bisogni economici della famiglia) a scopo elusivo: al riguardo, il richiamo della Corte territoriale ai principi concernenti la solidarietà economica e la ratio degli articoli 23 e 53, Costituzione configura una corretta applicazione delle fattispecie in esame, consentendo un corretto bilanciamento delle diverse esigenze”.

Secondo il sommesso parere dello scrivente, però, il decisum della Suprema Corte, così come i precedenti giurisprudenziali in essa richiamati, seppur sostanzialmente corretto e rispettoso della norma contenuta nell’articolo 2697, cod. civ. in merito all’onere probatorio, ha il difetto di rinvigorire un patologico annacquamento del fondo patrimoniale, rendendolo così praticamente inutile, stante la concreta impossibilità di fornire la prova circa i presupposti dettati dall’articolo 170, cod. civ., soprattutto nell’eventualità in cui il soggetto creditore sia l’Amministrazione finanziaria.

Concludendo, a oggi, fra il recente inserimento dell’articolo 2929-bis, cod. civ. e l’orientamento dei giudici di legittimità in materia, è difficile consigliare a un nucleo familiare o a un terzo la costituzione di un fondo patrimoniale, il quale è destinato a non poter più offrire la protezione e lo schermo difensivo per il quale era stato ideato, potendo optare anche per altri istituti giuridici certamente maggiormente efficaci in termini di segregazione patrimoniale.

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