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Paolo Mancuso

Acquisto e vendita delle opere d’arte: la disciplina fiscale

Aggiornamento: 12 set 2022

L’acquisto e la cessione delle opere d’arte può comportare criticità, dal punto di vista fiscale, soprattutto ai fini dell’individuazione della corretta disciplina da applicare nell’ambito delle imposte dirette. Non sempre, infatti, può essere facilmente distinta l’ipotesi del semplice smobilizzo patrimoniale, non rilevante fiscalmente, dall’attività di commercio, anche occasionale ma comunque rilevante ai fini delle imposte dirette, che potrebbe essere svolta dal collezionista.

Premessa. La disciplina Iva

Sempre più frequente è l’acquisto, per finalità di investimento, di opere d’arte. In tal caso dubbi possono sorgere con riferimento al corretto trattamento ai fini Iva e delle imposte dirette.

Concentrando l’analisi dapprima sui profili Iva giova rammentare che, ai sensi dell’articolo 2, D.P.R. 633/1972, le cessioni di opere effettuate nel territorio dello Stato da parte di soggetti passivi sono soggette a Iva. L’aliquota applicabile varia però, in questo caso, in funzione della tipologia del soggetto cedente.

È infatti prevista l’applicazione dell’Iva con aliquota al 10% in caso di cessione di opera effettuata dallo stesso autore, oppure dai suoi eredi o legatari (n. 127-septiesdecies, Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972).

È prevista invece l’applicazione dell’aliquota Iva ordinaria nel caso in cui la cessione sia effettuata da un soggetto diverso da quelli appena richiamati.

La stessa aliquota del 10% trova inoltre applicazione nel caso di importazione delle opere d’arte, da chiunque effettuate (sia esso un privato o un soggetto Iva). Tale aliquota agevolata è tuttavia prevista esclusivamente in occasione dell’importazione del bene, trovando invece applicazione l’aliquota ordinaria nell’ambito delle successive cessioni.

In considerazione della particolare aliquota prevista per l’importazione delle opere d’arte, si rende pertanto necessario soffermare l’attenzione sugli aspetti definitori, individuando esattamente le fattispecie al ricorrere delle quali è possibile parlare di “oggetti d’arte”.

Sul punto viene in soccorso la circolare n. 24/E/2010, con la quale è stato chiarito che, ai fini del riconoscimento della natura di “oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione”, deve procedersi in base alle disposizioni comunitarie in materia doganale. Vi sono però una serie di beni, indicati nella Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995, che, pur essendo qualificabili ai fini Iva come “oggetti d’arte”, non lo sono ai fini doganali.

Al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate con la precedente circolare n. 177/E/1995 non è stato invece ritenuto più necessario, al fine di poter beneficiare delle disposizioni fiscali di favore, il rilascio, da parte dei competenti organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dell’attestazione sul carattere di oggetto d'arte e d'antiquariato.

Tutto quanto appena premesso si ritiene pertanto opportuno richiamare, di seguito, l’elencazione riportata nella suddetta Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995.

a) "Oggetti d'arte":

- quadri "collages" e quadretti simili ("tableautins"), pitture e disegni, eseguiti interamente a mano dall'artista, a eccezione dei piani di architetti, di ingegneri e degli altri progetti e disegni industriali, commerciali, topografici e simili, degli oggetti manufatturati decorati a mano, delle tele dipinte per scenari di teatro, sfondi di studi d'arte o per usi simili (codice NC 9701);

- incisioni, stampe e litografie originali, precisamente gli esemplari ottenuti in numero limitato direttamente in nero o a colori da una o più matrici interamente lavorate a mano dall'artista, qualunque sia la tecnica o la materia usata, escluso qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico (codice NC 9702 00 00);

- opere originali dell'arte statuaria o dell'arte scultoria, di qualsiasi materia, purché siano eseguite interamente dall'artista; fusioni di sculture a tiratura limitata a 8 esemplari, controllata dall'artista o dagli aventi diritto (codice NC 9703 00 00); a titolo eccezionale in casi determinati dagli Stati membri, per fusioni di sculture antecedenti il 1° gennaio 1989, è possibile superare il limite degli 8 esemplari;

- arazzi (codice NC 5805 00 00) e tappeti murali (codice NC 6304 00 00) eseguiti a mano da disegni originali forniti da artisti, a condizione che non ne esistano più di 8 esemplari;

- esemplari unici di ceramica, interamente eseguiti dall'artista e firmati dal medesimo;

- smalti su rame, interamente eseguiti a mano, nei limiti di 8 esemplari numerati e recanti la firma dell'artista o del suo studio, a esclusione delle minuterie e degli oggetti di oreficeria e di gioielleria;

- fotografie eseguite dell'artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di 30 esemplari, di qualsiasi formato e supporto;

b) "Oggetti da collezione":

- francobolli, marche da bollo, marche postali, buste primo giorno di emissione, interi postali e simili, obliterati o non obliterati ma non aventi corso né destinati ad aver corso (codice NC 9704 00 00);

- collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, di botanica, di mineralogia, di anatomia, o aventi interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico (codice NC 9705 00 00);

c) "Oggetti di antiquariato": i beni diversi dagli oggetti d'arte e da collezione, aventi più di 100 anni di età (codice 9706 00 00).

In considerazione dei chiarimenti espressi dall’Amministrazione finanziaria con il citato documento di prassi deve quindi ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta in occasione delle importazioni, sia necessario distinguere le seguenti fattispecie:

− i beni richiamati nella tabella allegata al D.L. 41/1995 e nell’articolo 72, D.Lgs. 42/2004 (per i quali è previsto il rilascio del certificato) possono beneficiare dell’aliquota ridotta del 10% in occasione delle importazioni, senza ulteriore necessità di particolari formalità;

− i beni richiamati nella tabella allegata al D.L. 41/1995 ma non nell’articolo 72, D.Lgs. 42/2004, con riferimento ai quali, ai fini del riconoscimento della loro natura di “oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione” deve procedersi in base alle disposizioni comunitarie in materia doganale;

− i beni richiamati dall’articolo 72, D.Lgs. 42/2004, e non nella Tabella del D.L. 41/1995, i quali non possono beneficiare dell’aliquota Iva ridotta1.

Il contratto di mandato. Profili Iva

Tutto quanto appena premesso, si rende necessario distinguere le seguenti situazioni che potrebbero concretamente prospettarsi:

− cessione effettuata da un soggetto che non configura un soggetto passivo ai fini Iva (non svolgendo un’attività artistica): in questo caso l’operazione è fuori campo Iva;

− cessione effettuata da un soggetto che configura un soggetto passivo Iva: in questo caso l’operazione è soggetta a Iva;

− cessione effettuata ricorrendo all’intermediazione di un operatore professionale, in forza di un contratto di mandato senza rappresentanza. Si tratta della tipica ipotesi di cessione affidata a soggetti specializzati, quali ad esempi le gallerie d’arte, i quali devono necessariamente assoggettare il loro compenso a Iva.

Con riferimento a questa ultima ipotesi giova rammentare che, nel caso di stipula di un contratto di mandato senza rappresentanza si realizza una fictio iuris in forza della quale è come se vi fosse un doppio trasferimento del bene oggetto del contratto di mandato: dal mandante al mandatario e dal mandatario al cessionario.

Pertanto, mentre la prima cessione potrà essere considerata sempre fuori campo Iva nel caso in cui il mandante non sia un soggetto passivo Iva, la cessione del mandatario al terzo acquirente configura un’operazione rilevante ai fini Iva in quanto posta in essere da un soggetto passivo d’imposta.

Purtuttavia, con la risoluzione n. 67/E/2000 l’Agenzia delle entrate ha avuto modo di precisare che, in questo specifico caso, la commissione del mandatario non può essere oggetto di fatturazione unitamente al bene ceduto, dovendo invece essere fatturata separatamente, trattandosi di una diversa prestazione di servizio.

Diverse considerazioni devono essere invece espresse nel caso in cui sia stipulato un contratto di mandato con rappresentanza: in questo caso, infatti, è direttamente il mandante a fatturare all’acquirente e il mandatario si limiterà a fattura la provvigione prevista, con applicazione dell’Iva secondo l’aliquota ordinaria.

Il regime del margine

Un’ulteriore fattispecie che potrebbe prospettarsi riguarda poi il caso in cui l’operatore professionale sia diventato proprietario dell’opera e provveda successivamente a rivederla. In questo caso non interviene alcun contratto di mandato, limitandosi il soggetto ad acquistare e rivendere l’opera, sicché potrebbe trovare applicazione il c.d. “regime del margine”.

Il regime del margine, come noto, è un regime la cui applicazione è soltanto facoltativa e consente di non applicare l’Iva sull’intero corrispettivo nei casi in cui il soggetto passivo abbia acquistato il bene da un privato che non ha potuto detrarre l’Iva sul bene acquistato.

In questo modo, infatti, l’Iva trova applicazione esclusivamente sulla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto, maggiorato delle spese di riparazione e accessorie.

Tutto quanto appena premesso, giova altresì ricordare che, con l’articolo 40-bis, D.L. 41/1995, è stato introdotto un nuovo regime, analogo a quello del margine, che può trovare applicazione nell’ambito del contratto di commissione per la vendita all’asta delle opere d’arte. La disposizione in esame configura un’eccezione alla regola generale prima richiamata con riferimento ai contratti di mandato senza rappresentanza, che trova limitata applicazione alle vendite realizzate dalle case d’asta.

In questo caso, infatti, l’Iva è dovuta esclusivamente sulla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario (comprensivo delle commissioni e delle altre spese accessorie) e quanto deve essere corrisposto al cedente dello stesso (pari al prezzo di aggiudicazione del bene all’asta al netto delle previste commissioni).

Acquisto di opere d’arte e detraibilità Iva

Un altro aspetto sul quale si rende necessaria appuntare l’attenzione riguarda la detraibilità dell’Iva eventualmente assolta in occasione dell’acquisto dell’opera d’arte. Ben potrebbe, infatti, l’acquirente essere un soggetto passivo Iva, rendendosi quindi necessaria la prospettata analisi.

Al fine di fornire una risposta all’interrogativo prospettato giova distinguere 2 fattispecie: la prima, relativa all’acquirente che svolge attività di commercio di opere d’arte e la seconda, riguardante il più generico caso di un acquirente che svolge un’attività diversa.

Mentre nel primo caso, infatti, l’Iva risulta essere detraibile (trattandosi di un bene destinato alla rivendita), nel secondo caso l’Iva è indetraibile ai sensi dell’articolo 19-bis1, lettera h), D.P.R. 633/1972.

Cessione dell’opera d’arte e imposte dirette

Ai fini delle imposte dirette la tassazione dell’eventuale plusvalenza realizzata è limitata ai casi in cui la stessa è realizzata nell’ambito di un’impresa commerciale o di un’attività commerciale non esercitata abitualmente.

Giova infatti ricordare che, ai sensi dell’articolo 67, Tuir, sono tassati quali redditi diversi “i redditi da attività commerciali non esercitate abitualmente”.

In considerazione di questa breve premessa, al fine di individuare il corretto regime di tassazione si rende necessario distinguere le 3 seguenti tipologie di soggetto cedente4:

1. il “mercante d’arte” che svolge professionalmente e abitualmente attività di commercio di opere d’arte (il mercante d’arte deve quindi essere considerato soggetto passivo Iva e i redditi prodotti sono tassati quali redditi d’impresa);

2. lo “speculatore occasionale”, che, occasionalmente, acquista i beni per poterne trarre profitto dalla vendita (anche le plusvalenze conseguite dallo speculatore occasionale sono tassate quali redditi diversi, pur non essendo quest’ultimo un soggetto passivo Iva);

3. il “collezionista privato”, il quale è animato da intenti diversi dal conseguimento di un profitto, pur effettuando, in alcuni rari casi, cessioni di beni (in questo caso non si realizza nessuna forma di reddito imponibile).

Le maggiori difficoltà interpretative si concentrano sulle differenze tra la seconda e la terza figura, ovvero lo “speculatore occasionale” e il “collezionista privato”.

La dottrina si è quindi lungamente interrogata sui casi che configurano lo svolgimento di un’attività commerciale (almeno occasionale), ritenendo a tal fine in ogni caso necessario lo svolgimento, da parte dello stesso soggetto, di almeno 2 atti: quello di acquisto e quello di cessione dell’opera d’arte.

Pertanto, la cessione dell’opera ricevuta in eredità o donata non potrebbe configurare, in nessun caso, un’attività commerciale, rilevando esclusivamente come un atto di dismissione non tassabile, indipendentemente dall’importo realizzato a titolo di plusvalenza.

Tale interpretazione ha ricevuto l’avallo della giurisprudenza (Cassazioni n. 2809/2008; n. 3039/2008; n. 7760/2008; n. 8196/2008; n. 8198/2008; n. 8199/2008; n. 8200/2008, CTP Trento, sezione II, n. 191/II/2017; recentemente le richiamate interpretazioni sono state confermate dalla CTP Torino n. 351/III/2018) e dell’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 5/E/2001).

Concentrando l’attenzione sulla interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria, giova ricordare che il caso oggetto di analisi con la risoluzione n. 5/E/2001 riguardava un’associazione, non avente scopo di lucro, che intendeva vendere opere d'arte ricevute a titolo di liberalità. L’Agenzia delle entrate ha dunque chiarito che l'operazione non realizzava una attività commerciale:

“in quanto non è ravvisabile nella stessa l'elemento dell'intermediazione nello scambio dei beni ma una semplice operazione di dismissione patrimoniale.

Ciò, beninteso, a condizione che la vendita all'asta non richieda l'impiego di mezzi organizzati professionalmente né assuma rilevanza autonoma nell'ambito di una iniziativa volta a liquidare beni acquisiti nella sfera della attività istituzionale propria dell'associazione”.

Sul punto è tra l’altro intervenuta, recentemente, la CTP Torino n. 351/III/2018.

Il caso riguardava una società semplice nei confronti della quale l’Amministrazione finanziaria aveva accertato un maggior reddito derivante dalla cessione di una collezione di autovetture d’epoca. Più precisamente, il reddito era sottoposto a tassazione ai sensi dell’articolo 67, Tuir, e quindi l’attività prospettata non era stata qualificata dall’Agenzia delle entrate come imprenditoriale ma come attività commerciale non esercitata abitualmente, ritenendo di dover valorizzare il suo carattere speculativo.

I soci della società semplice impugnavano quindi l’avviso di accertamento, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 67, Tuir:

“essendo state sottoposte a tassazione operazioni rientranti in un'attività amatoriale e non imprenditoriale o commerciale, essendosi trattato di uno smobilizzo di una preziosa collezione d'auto costituita nel tempo da G.A. e pervenuta ai soci quali eredi e figli del medesimo”.

I giudici si sono quindi espressi ricordando che la società semplice non può, per definizione, svolgere attività imprenditoriale o commerciale; la società accertata era quindi stata esclusivamente costituita per la gestione della preziosa collezione d'auto sportive, soprattutto storiche, creata e curata per pura passione dal de cuius. Gli eredi, tuttavia, dopo la morte del congiunto, per evitare i gravi costi di manutenzione e custodia, mostravano la necessità di cedere l’intera collezione.

“Per quanto possa attribuirsi una certa rilevanza economica all'operazione, avuto riguardo all'ammontare complessivo delle somme incassate dalla vendita delle diverse autovetture, non pare smentito il fatto che si trattò di vendita a un'unica società acquirente con inevitabile contenimento dei prezzi stabiliti per ciascuna di esse, rispetto a quelli che potevano essere conseguiti con una vendita parcellizzata.

… L'ufficio ha invero attribuito natura commerciale alla sola operazione di smobilizzo della collezione d'auto da essi ereditata, considerando la particolare rilevanza economica della stessa, ma senza tener conto del prevalente proposito di liquidazione e della totale assenza di impostazione speculativa.

Diverse considerazioni avrebbe imposto invece l'avvio di una sistematica e lucrosa attività di progressiva cessione sul mercato, mediante intensi contatti commerciali, a soggetti privati o a operatori del settore, finalizzata a conseguire il miglior prezzo possibile di ciascuna delle numerose autovetture che costituivano la collezione in argomento. Pare potersi escludere che ciò si sia verificato e non è smentito l'assunto della difesa secondo cui i ricorrenti, proprio rinunciando a tale possibilità, procedettero ad uno sbrigativo smobilizzo "accontentandosi" di un introito, pur consistente, ma sicuramente inferiore a quello che avrebbe potuto essere conseguito promuovendo un'appropriata attività commerciale”.

Le fattispecie che non possono essere ritenute fiscalmente rilevanti non sono tuttavia confinate ai casi di cessione di opere d’arte ricevute in eredità o in donazione.

Altra giurisprudenza ha infatti negli anni valorizzato l’intento del venditore, distinguendo l’attività commerciale, anche occasionale, da quella di mero collezionista svolta dal soggetto5.

Giova a tal proposito richiamare la CTR Firenze, sezione XVII, n. 101/XVII/2005, con la quale è stata concentrata l’attenzione sul caso di un contribuente al quale erano stati accertati maggiori redditi da attività commerciale occasionale di commercio di auto d’epoca.

Nella pronuncia è possibile leggere che il contribuente si opponeva negando l'intento speculativo, necessario al fine di attribuire rilevanza giuridica di attività commerciale occasionale, e qualificava l’attività come un mero hobby, ovvero un’attività di tipo “amatoriale”. Le auto d'epoca erano infatti nella disponibilità del contribuente da molti anni e, solo recentemente, per esigenze familiari, lo stesso aveva deciso di smobilizzare parte dei veicoli6.

“Dalla documentazione di causa emerge che l'attività svolta dall'Avv. M., non essendo diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi, non può essere qualificata attività imprenditoriale perché si limita al mero godimento dei beni collezionati. Il contribuente acquista autoveicoli non per rivenderli (almeno nell'immediato), ma per potenziare la sua collezione. Egli, entro certi limiti, non segue criteri di “economicità”. L'attività non si concretizza in un ciclo di scambi monetari il cui obiettivo ultimo è il profitto. Al suo posto intervengono altre gratificazioni di tipo psicologico e forti motivi di soddisfazione personale che corrispondono alle intrinseche motivazioni del collezionista. Anche i requisiti dell'"organizzazione" e della "professionalità", tipici dell'impresa, si presentano con caratteri attenuati. Quello delle auto d'epoca è infatti un mercato "sui generis" sul quale l'offerta, molto rarefatta, non segue un andamento prevedibile. Dal lato della domanda ciò impedisce che l'attività possa svolgersi con una certa "sistematicità". L'ufficio a sostegno della sua tesi fa leva sull'articolo 81, lettera i), Tuir ("redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente"). Al riguardo si osserva che le vetture d'epoca vendute nel corso del 1996 non erano state acquistate di recente; esse si trovavano da molti anni nel patrimonio del contribuente; il loro acquisto non poteva dirsi preordinato a una successiva vendita. Si è trattato, in sostanza, della vendita isolata di oggetti facenti parte del patrimonio personale di un soggetto privato. Anche alla luce della mancata riproposizione nel Tuir degli articoli 76 e 80, D.P.R. 597/1973, perde rilevanza l'ipotesi di intento speculativo sostenuta dall'ufficio”.

Per poter distinguere l’attività commerciale dall’attività di un mero collezionista non assumono quindi rilievo solo il numero e la frequenza delle transazioni, dovendo tener conto anche, come già detto, dell’intento del cedente, il quale ben potrebbe essere animato da una volontà diversa da quella di realizzare un profitto.

Si pensi al caso, non insolito, di un collezionista, il quale, a causa di una forte crisi di liquidità sia costretto a cedere la sua intera collezione, peraltro accettando prezzi di vendita inferiori a quelli di mercato: i bassi compensi accettati sono evidente segnale della non configurabilità di un’attività commerciale, come tra l’altro rilevato dalla CTR Venezia, sezione XXIX, n. 279/XXIX/2016.

Tutto quanto finora esposto, tuttavia, non deve indurre il lettore a ritenere che qualsiasi cessione effettuata da un soggetto privato, qualificabile come “collezionista”, possa essere ritenuta esclusa da qualsiasi forma di imposizione.

È infatti stato pacificamente ritenuto che un numero elevato di transazioni, finalizzate a ottenere un guadagno, configurando un’attività avente carattere continuativo e non occasionale, possono essere qualificate come attività d’impresa.

A tal proposito possono essere citate CTR Palermo n. 2/XXIX/2012 del 13.1.2012 e CTR Firenze n. 826/2016. Sul punto si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, sebbene con una sentenza più risalente (sentenza n. 27208/2006), analizzando il caso di un contribuente che aveva acquistato all’asta e successivamente rivenduto oggetti di antiquariato.

“I dati di fatto accertati dal giudice d'appello sono costituiti dall'avvenuto acquisto all'asta da parte del contribuente nell'anno 1990 di mobili d'antiquariato per £ 647.407.700 e dalla vendita dei medesimi da parte dello stesso contribuente, avendo egli "affermato di aver venduto i beni a persone delle quali non è stato in grado di fornire le generalità. A fronte di tali elementi, oltre che della circostanza, evidenziata dal giudice a quo, della "comprovata esperienza nel campo dell'antiquariato, acquisita nel precedente svolgimento di attività commerciale" appare pienamente logica la presunzione che tale comportamento costituisca esercizio di attività commerciale, posto che l'acquisto dei beni e la loro vendita a terzi escludono l'utilizzo nell'ambito della sfera personale”.

Al fine di individuare i caratteri che consentono di qualificare un’attività come commerciale, sebbene occasionale, può essere inoltre richiamata la sentenza n. 21776/2011, la quale ha posto l’accento sulla dimensione del volume affari, sulla ripetitività delle cessioni e sulla loro frequenza temporale, nonché sulle eventuali opere di trasformazione o incremento dei beni in funzione della futura vendita.

“L’Agenzia delle entrate non ha assolto all'onere indicato limitandosi a contestare le conclusioni della CTR e a contrapporre la mera allegazione che "i militari avevano appurato che esisteva un commercio di auto con gli Stati Uniti e che vi era una attività di importazione di auto d'epoca" senza tuttavia indicare il mezzo di prova, ammesso nel processo di merito, sul quale era fondata tale asserzione, e senza evidenziare - mediante opportuna trascrizione dei contenuti rilevanti della fonte probatoria - le specifiche circostanze di fatto dalle quali (ad esempio per la dimensione del volume affari, per la ripetitività dei negozi di cessione stipulati, per la ridotta distanza temporale tra l'acquisto e la rivendita delle auto, per la particolare rilevanza economica della singola operazione; per eventuali opere di trasformazione o incremento dei beni in funzione della futura vendita) poteva desumersi lo svolgimento di "attività commerciale" imponibile come reddito diverso da parte del contribuente e non di meri atti isolati di compravendita”.

Sui criteri di abitualità e professionalità idonei a configurare un’attività commerciale si è inoltre concentrata la recente sentenza CTR Piemonte n. 1412/2018, riguardante il caso di un contribuente che aveva ceduto, in un breve lasso di tempo, la sua intera collezione di opere d’arte, tutte acquistate nel corso di quaranta anni.7

Altri redditi derivanti dalla proprietà di opere d’arte. Imposte dirette

Non può essere in questa trattazione ignorata la circostanza che le opere d’arte potrebbero rappresentare una fonte di reddito per il loro proprietario anche prima della loro cessione.

Invero, l’opera d’arte potrebbe essere noleggiata o potrebbero essere richiesti degli importi per il diritto di accesso. Da ultimo assumono poi rilievo anche i compensi derivanti dalla concessione del diritto di riproduzione.

Con riferimento al noleggio dell’opera, gli eventuali redditi conseguiti devono essere tassati quali redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, lettera h) Tuir, ai sensi del quale assumono rilievo:

“i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall'affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili”.

Il proprietario dell’opera potrebbe poi conseguire dei redditi per l’accesso all’opera: anche in questo caso i redditi assumerebbero rilievo ai sensi dell’articolo 67, lettera l), Tuir.

Infine, il proprietario di un’opera d’arte potrebbe beneficiare dei redditi rivenienti dalla concessione del diritto di riproduzione, per i quali troverebbe applicazione l’articolo 71, comma 1, Tuir, potendo quindi fruire della riduzione forfettaria del 25% della base imponibile (se i diritti dalla cui utilizzazione derivano sono stati acquistati a titolo oneroso).

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